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Home » Public Speaking

Public Speaking

Comunicazione: i 3 livelli

By Andrea Carfi | Founder & President Posted on 28/03/2015

comunicazione-interpersonale-formazione-consulenza“Curate la comunicazione paraverbale (tono, ritmo della voce) e non verbale (gestualità, mimica, movimento del corpo, postura, prossemica), su questo concetto ritornerò, in modi diversi, in tutti i post che dedicherò al public speaking, tale è la sua importanza; per il momento riflettete sul fatto che questi due livelli della comunicazione (paraverbale e non verbale) hanno, insieme, un impatto pari al 93% (93%!) rispetto all’efficacia del vostro messaggio al ricevente (in particolare al paraverbale va un 38% e al non verbale un 55%): un misero 7% dell’efficacia del vostro messaggio è lasciato al verbale (contenuto, parole, frasi del messaggio). Per dirla in poche e semplici parole, curate soprattutto il modo (paraverbale e non verbale) in cui comunicate, perchè dipenderà da questo l’efficacia o meno del vostro discorso (o lezione o corso)“. 

In questo modo, nella serie dei post dedicati al public speaking (preparazione, apertura, corpo centrale e chiusura del discorso in pubblico) introducevo uno dei più importanti principi della comunicazione: ognuno dovrebbe tenerlo appeso sulle pareti di casa e leggerlo ogni giorno ad alta voce come un mantra. I grandi comunicatori sono infatti proprio coloro che sanno perfettamente come usare in modo funzionale ed efficace i livelli paraverbale e non verbale della comunicazione e i formatori e i public speaker, infatti, che riescono realmente a raggiungere il pubblico, allo stesso modo possiedono eccellenti competenze comunicative paraverbali e non verbali:

Livello Verbale (7%): le parole scritte o parlate, il contenuto del vostro messaggio che ha un’importanza davvero relativa nella comunicazione, se paragonato agli altri livelli.

Livello Paraverbale (38%): tono della voce, ritmo della voce, volume della voce, espressività della voce, pause, silenzi, sospiri… L’insieme, insomma, delle caratteristiche della voce e del modo di pronunciare il vostro messaggio: l’importanza di questo livello nella comunicazione è enorme, basta confrontare le percentuali di questo livello (38%!) e del precedente (7%!).

Livello Non Verbale (55%): ovvero postura (la posizione del corpo nello spazio), gestualità, mimica (espressioni del volto, sguardo, sorriso), prossemica (il modo di porsi nello spazio di emittente/i e ricevente/i), movimenti delle mani, odori, abbigliamento e aspetto esteriore): se il livello paraverbale è importante, questo lo è ancora di più e insieme (paraverbale e non verbale) sono ciò che permettono all’emittente di toccare, a livello comunicativo, realmente il ricevente.

1 Comment

Formazione Formatori per Assistenti Sociali (Part 2)

By Andrea Carfi | Founder & President Posted on 15/11/2014

 

andrea carfi

C’è sempre, durante l’intervento di Formazione Formatori per Assistenti Sociali, un momento in cui, io e il mio collega Dott. Furio Panizzi, interpretiamo il ruolo dei discenti “problematici” (domandologo / logorroico / saccente) per mettere in difficoltà (beh, mica lo facciamo per sadismo eh :D) i partecipanti che devono affrontare, magari per la prima volta, un pubblico: i discenti che partecipano al nostro corso di Formazione Formatori per Assistenti Sociali, dopo aver progettato il loro intervento con la nostra assistenza, devono anche erogarlo. Io li “minaccio” subito, in apertura del corso:“guardate che oramai non potete più tirarvi indietro, il corso è estremamente pratico, perché il nostro obiettivo è quello di addestrarvi a progettare ed erogare interventi formativi di ottimo livello in maniera autonoma; quindi in queste giornate di corso preparatevi a mettervi in gioco e a sfruttare al massimo la possibilità che avrete di fare pratica in un contesto protetto” 

Formazione Formatori per Assistenti Sociali: Project Design

Project Design – ovvero la prima, fondamentale esercitazione del corso Formazione Formatori per Assistenti Sociali. Dopo aver ideato la tematica del progetto che  erogheranno, i discenti la devono mettere nero su bianco: dopo quindi avergli mostrato un progetto come esempio sulla lavagna, in modo tale da fargli capire concretamente cosa significa “Macroprogettazione” (ovvero il progetto in linee generali, in macroaree) e “Microprogettazione” (ovvero il progetto nei suoi minimi dettagli, entrando nel particolare, in microaree quindi), i discenti devono impostare il progetto da loro precedentemente ideato attraverso la metodologia e secondo le indicazioni tecniche che abbiamo fornito. A turno poi, io e il mio collega, analizziamo ogni progetto con estrema cura, studiandone la potenziale vendibilità sul mercato, discutendone con loro, inserendo cambiamenti dove è necessario e rendendoci quindi conto se le persone hanno concretamente capito o meno la metodologia del Project Design. La cosa importante che deve capire il discente è che attraverso la micro-progettazione avrà si un documento attraverso cui poter presentare il progetto ai committenti, ma soprattutto si ritroverà uno schema preciso (con tanto di tempistiche e tipologie di esercitazioni da proporre durante ogni modulo del progetto) da poter seguire nel momento in cui dovrà erogare il proprio corso: è necessario quindi che i discenti pianifichino tutto ciò che vogliono affrontare durante l’erogazione del loro intervento formativo, rendere concreta la loro visione, perché servirà soprattutto a loro stessi per orientarsi sia in fase di preparazione che di erogazione del corso.

Formazione Formatori per Assistenti Sociali: Simulazioni di docenza

Simulazioni di Docenza – emotivamente, spesso, di grande impatto per i partecipanti (sia per coloro che non hanno mai avuto a che fare con la comunicazione in pubblico, sia per gli altri, invece, con esperienza alle spalle), è uno dei momenti in assoluto più importanti dell’intervento assieme al project design; perché solamente attraverso la pratica (pur se in un contesto ovviamente protetto, come scrivevo prima) sia i discenti che i docenti possono e devono rendersi conto, in maniera definitiva, se le competenze oggetto dell’intervento formativo sono state trasmesse correttamente e se gli obiettivi sono stati raggiunti. Il nostro compito è quello di motivare costantemente il discente e di assisterlo continuamente, rinforzandolo quando dobbiamo sottolineare quanto sia stato bravo e facendogli capire, quando è necessario, quali sono i punti su cui deve lavorare per poter migliorare. I momenti in cui, come scrivevo in apertura, io e il mio collega interpretiamo (durante la simulazione di docenza del discente), a turno, il discente domandologo, logorroico o saccente sono quelli forse più temuti durante le esercitazioni: è importante però capire come i discenti affrontino la gestione delle situazioni problematiche in aula sfruttando le indicazioni che sono state date precedentemente durante la parte teorica.

Gestualità, tono e ritmo della voce, movimento del corpo, public speaking, gestione dell’aula, gestione del tempo, gestione dello stress, problem solving, capacità di esposizione, capacità di coinvolgere il pubblico, impostazione della lezione, impostazione del progetto, mimica, uso degli strumenti didattici disponibili in aula…
 Tutto questo e altro devono essere studiati sempre con estrema attenzione per poter erogare ogni tipologia di intervento formativo: ecco perché le esercitazioni pratiche sono un momento didattico fondamentale per l’acquisizione delle competenze che i discenti potranno e dovranno poi spendere sul mercato del lavoro.

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Formazione Formatori per Assistenti Sociali (Part 1)

By Andrea Carfi | Founder & President Posted on 10/11/2014

 

andrea carfi

Mi ricordo molto bene quando il mio collega Formatore (e Assistente sociale) Dott.Furio Panizzi  mi disse, di punto in bianco: “Andrea come lo vedresti un progetto legato alla Formazione Formatori per Assistenti sociali?”. Ovviamente in quel momento non potevo immaginare quanto successo, in tutti i sensi, avrebbe avuto, ma qualcosa mi disse immediatamente che quell’idea non era buona, ne ottima; era eccellente! Grazie all’entusiasmo dei discenti, infatti, nacque l’ A.I.A.S.F. (Associazione Italiana Assistenti Sociali Formatori) e grazie alla validità del progetto ottenemmo l’accreditamento del C.N.O.A.S. (Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali), del C.R.O.A.S. (Consiglio Regionale Ordine Assistenti Sociali) e il patrocinio del S.U.N.A.S. (Sindacato Unitario Nazionale Assistenti Sociali). Ma andiamo con ordine:

All’epoca (2010) avevo progettato ed erogato moltissimi interventi legati alla formazione per i futuri formatori, ma non avevo mai pensato di indirizzarli verso specifiche categorie professionali: in questo senso l’idea della Formazione Formatori per Assistenti Sociali e l’esperienza del Dott. Furio Panizzi furono fondamentali per dar vita a un intervento che univa teoria, pratica, partecipazione attiva dei discenti e spendibilità sul mercato del lavoro in maniera estremamente funzionale: la formula dei miei corsi di Formazione Formatori (e di tutti i miei corsi), infatti, si basa sul concetto per cui tutte le parti teoriche sono immediatamente affiancate da esercitazioni pratiche attraverso le quali i discenti hanno la possibilità di mettere in pratica tutto ciò che è stato argomento della lezione e quindi sperimentarsi in un contesto protetto come quello dell’aula di formazione. Inoltre dedicavamo diverse ore alla spiegazione precisa di come poter immediatamente spendere sul mercato del lavoro le nuove competenze acquisite durante il corso una volta usciti dall’aula, offrendo tra l’altro anche assistenza post-intervento.

Formazione Formatori per Assistenti Sociali: Progettazione

Argomenti su cui ci concentravamo in modo particolare erano la Progettazione e l’Erogazione di un intervento formativo:

Progettazione:

–          Durante l’apertura del corso di formazione formatori per assistenti sociali, tra le altre cose, presentavamo in modo chiaro quali erano gli obiettivi principali che ci dovevamo porre: il creare un proprio progetto (almeno uno, nulla vietava loro di crearne di più, anzi, noi cercavamo di spingere proprio in quella direzione) da poter poi realmente proporre ed erogare presso Enti, una volta concluso l’intervento formativo in formazione formatori per assistenti sociali, era tra questi.

–          Spiegavamo in modo estremamente dettagliato, semplice e chiaro quali erano le tecniche per mettere nero su bianco un’idea che magari frullava in testa da tanto tempo nei discenti.

–          Analizzavamo e valutavamo insieme se, per il progetto che volevano erogare, poteva esserci domanda sul mercato o meno: in caso di perplessità stimolavamo il discente a pensare a qualcosa di differente, magari da noi stessi suggerito.

–          Davamo la possibilità di creare immediatamente il loro progetto lì, in aula, con la nostra assistenza ovviamente; in quel modo ci rendevamo conto se i discenti avevano perfettamente acquisito la competenza del saper progettare un intervento formativo o meno, permettendoci quindi, eventualmente, di capire quando era necessaria un’ulteriore spiegazione o un ulteriore approfondimento dell’argomento.

Formazione Formatori per Assistenti Sociali: Erogazione

Erogazione:

–          Un altro, fondamentale obiettivo principale dell’intervento era il saper erogare un corso di formazione e anche qui, ovviamente, il tandem teoria-pratica faceva da padrone

–          Attraverso la teoria affrontavamo argomenti come comunicazione efficace, public speaking, gestione del gruppo, conduzione delle attività pratiche, gestione dei casi critici, leadership, uso degli strumenti, tipologie di lezione, errori da evitare, negoziazione, coinvolgimento del gruppo, materiale didattico. Immediatamente dopo la teoria, come sempre, grande spazio alla pratica:

–          Il primo livello consisteva nella preparazione, da parte dei discenti, di alcune dispense sulla formazione che consegnavamo durante il corso e nella successiva erogazione di una lezione che si basasse sul materiale appena letto e studiato (tra l’altro esercitazione mutuata dalla “Presentazione”,famosa prova di selezione di gruppo per il profilo professionale del formatore, appunto).

–          Il secondo livello era l’erogazione, sempre da parte del discente ovviamente, di una lezione estratta da una parte del proprio progetto creato precedentemente in aula.

 

Ci sarebbero tantissime cose da dire rispetto alle dinamiche che si creavano in aula e alla metodologia usata durante le esercitazioni pratiche; metodologia che io e il mio collega pianificavamo con cura per rendere la parte pratica del corso il più possibile utile per il discente: l’obiettivo che abbiamo sempre seguito era infatti quello di rendere ogni discente pronto (con il primo progetto immediatamente spendibile sul mercato) ad affrontare una platea e un gruppo formativo (con tutte le criticità che esso comporta) subito dopo la fine del corso di formazione formatori per assistenti sociali.

Per evitare di scrivere un capitolo di un libro sulla formazione formatori per assistenti sociali, anziché un post, questi argomenti saranno oggetto del prossimo.

Video “Formazione Formatori”

 

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Public Speaking: tecniche di chiusura

By Andrea Carfi | Founder & President Posted on 26/10/2014

public-speaking-formazione

Ed eccoci qui, avete attraversato tutte le fasi del vostro intervento in pubblico (per un veloce ripasso, potete sempre andare a rileggervi i tre precedenti post sul public speaking), è andato tutto alla grande e la platea è attentissima, partecipe, coinvolta: sarebbe un grave errore concludere senza un finale degno di questo nome perchè, come vi dicevo nei precedenti post, al pubblico rimarranno impressi soprattutto:
– Apertura
– Rottura degli schemi
– Ripetizione dei concetti
– Chiusura 

Public Speaking: i 3 momenti della chiusura del discorso

La chiusura del vostro intervento di public speaking può avere addirittura tre momenti:

– Il richiamare quelli che sono stati i punti cardine del vostro discorso con il pubblico: una sorta di riassunto schematico dell’intervento attraverso i suoi concetti chiave, che non solo serve a chiarire ulteriormente i punti salienti che sono stati appena trattati, ma è anche utile per creare quella tensione positiva e utile alla platea per prepararsi adeguatamente al gran finale.

– La chiamata all’azione: in relazione a quelli che sono obiettivi, tematiche, argomenti del vostro intervento, questo momento è importante per chiedere direttamente ai partecipanti di agire in un certo modo. L’azione richiesta al pubblico deve essere realistica, fattibile, definita, concreta.

– Il vero e proprio gran finale: si chiude il cerchio concludendo con le stesse tecniche che avete usato in apertura e per i vostri “stacchi” durante il corpo centrale del vostro intervento (nuovamente voglio sottolineare che ne potete usare anche più di una nello stesso momento), ve le indico per l’ultima volta qui di seguito:

– una domanda al pubblico
– una storia divertente
– una citazione
– un riferimento all’attualità
– un’immagine
– un filmato
– un racconto con una morale
– una battuta
– un riferimento a un valore condiviso dalla platea
– una scena divertente

 

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Public Speaking: tecniche per il corpo centrale

By Andrea Carfi | Founder & President Posted on 24/10/2014

 

public-speaking-formazione

Bene, avete individuato l’obiettivo e impostato una scaletta degli argomenti da trattare durante il vostro intervento di public speaking; vi siete preparati parlando per ore allo specchio, oppure davanti a dei poveracci che vi siete assicurati come pubblico “di prova” legandoli alle sedie :D, o magari davanti a un muro o anche videoregistrandovi; avete appena aperto il vostro discorso in pubblico con i “fuochi d’artificio” (per un veloce ripasso di questi punti, potete andare a rileggervi i miei due post precedenti dedicati al public speaking). Insomma siete pronti per lanciarvi nel vivo del vostro intervento e il concetto fondamentale su cui voglio soffermarmi è quello di “curva dell’attenzione”: “curva” perchè l’attenzione del pubblico inizialmente è alta, ma dopo 15 minuti circa comincia a calare, fisiologicamente.

Public Speaking: cosa fare per mantenere l’attenzione

Cosa può fare quindi, l’oratore, per mantenerla sempre a un livello alto?

1 –  prevedere, in scaletta, assieme agli argomenti da trattare e a cosa inserire in apertura e in conclusione (conclusione che vedremo nel prossimo post), degli “stacchi”, ovvero dei momenti che permettano al pubblico di rimanere ai livelli alti della curva dell’attenzione. E voi direte: “ok, e cosa facciamo, durante questi stacchi, ci mettiamo a ballare e a cantare?” No, o almeno non necessariamente :D. Le tecniche da usare durante questi stacchi sono, sostanzialmente, gli stessi che avete usato in apertura (e che userete anche in chiusura). Ve li indico qui sotto:
– una domanda al pubblico
– una storia divertente
– una citazione
– un riferimento all’attualità
– un’immagine
– un filmato
– un racconto con una morale
– una battuta
– un riferimento a un valore condiviso dalla platea
– una scena divertente
Inserite almeno una di queste (nulla vi vieta di inserirne più d’una, anzi più ne inserite meglio è) ogni 15 minuti, durante il vostro intervento e avrete una platea costantemente attenta e ricettiva.
2 – curate sempre tanto, tanto, tanto la comunicazione paraverbale (tono e ritmo della voce) e quella non verbale (gestualità, mimica, movimento del corpo, postura, prossemica): un conto è ascoltare un oratore che sul palco si muove, è espressivo, usa la gestualità in modo efficace, guarda tutti mentre parla (se il numero è limitato) o comunque si rivolge a tutti (sinistra, destra, centro, insomma par condicio :D), sorride, è dinamico nel tono e nel ritmo della sua voce utilizzando, a seconda dei momenti del discorso, toni alti e bassi, ritmi veloci e lenti; un altro conto è ascoltare un oratore immobile, che guarda sempre nella stessa direzione, che usa un tono e un ritmo della voce monocorde, che non è espressivo e non sorride mai e che non usa la gestualità (la sfortunata platea di quest’ultimo potreste osservarla mentre si addormenta dopo cinque minuti dall’inizio dell’intervento).
3 – se il vostro discorso dura più di 45 minuti/un’ora, sarebbe meglio prevedere delle vere e proprie piccole pause per la platea (e anche per voi; ebbene si, anche i public speaker che sembrano siano attraversati dalla corrente elettrica, a volte, hanno bisogno di una piccola pausa :D)

 Public Speaking: la “rottura degli schemi”

L’altro punto che vorrei affrontare, rispetto al corpo centrale, è quello della rottura degli schemi: pensate a un formatore e a un public speaker che durante un intervento sulla tematica della formazione formatori (dove avrebbe dovuto parlare di come un docente competente si deve comportare in aula con un tempo a disposizione davvero limitato), decide invece di interpretare (senza avvertire la platea dell’idea malsana che gli passa per la testa) il comportamento di un docente incompetente, lanciandosi, per qualche minuto, in una drammatica performance (pensate al peggior formatore che vi sia mai capitato di osservare, ecco, siete ancora lontani dall’immaginarvi la sua interpretazione) che lascia, letteralmente, senza parole la platea. Ad un certo punto, dopo qualche minuto si ferma, si rivolge alla platea dicendo: “avete presente tutto quello che ho fatto finora? Ecco, è tutto ciò che un formatore non deve fare e non deve essere“, mostrando e spiegando poi nel dettaglio, ovviamente, quello che un formatore invece deve fare e deve essere e nuovamente quello che non deve fare e non deve essere).
Una cosa è certa, i partecipanti a un intervento del genere non si scorderanno mai quello che non deve essere il comportamento del formatore in aula e il punto è proprio questo: vi ricordate il nesso che ho fatto con il film (durante il mio primo post sul public speaking, quello legato alla preparazione) riguardo all’importanza dell’inizio e del finale sia di una pellicola, sia di un intervento in pubblico anche perchè la platea tende a ricordarli molto bene? Perfetto, un’altra cosa che il pubblico tenderà a ricordare molto bene sono le cose particolari, originali, “strane” (con echi dell’Ivano verdoniano :D) che in qualche modo insomma si distaccano da tutto il resto (l’interpretazione, a sorpresa e senza avvertire la platea, del docente formatore incompetente) e la ripetizione dei concetti (cosa non deve fare il docente, cosa deve fare il docente e di nuovo cosa non deve fare il docente).
Il prossimo post sarà dedicato alla chiusura del discorso in pubblico con i “fuochi d’artificio”.

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Public Speaking: tecniche di apertura

By Andrea Carfi | Founder & President Posted on 19/10/2014

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Qual’è, secondo voi, il modo più diretto e naturale per instaurare da subito una relazione comunicativa bidirezionale con il pubblico? Avete presente quello che sto scrivendo in questo momento per cercare di attirare la vostra attenzione? Avete presente quella cosa legata a punti interrogativi e risposte?
Proprio così,  il modo più diretto e naturale per instaurare da subito una relazione comunicativa bidirezionale con il pubblico è fargli domande (tema che affronterò anche quando tratterò la “lezione per problemi” in formazione formatori, all’interno delle tipologie di lezione, in un futuro post), che è anche quindi uno dei modi per aprire il discorso con il pubblico con quei “fuochi d’artificio” di cui vi parlavo in conclusione del precedente post “Public Speaking: Preparazione del discorso in pubblico“, ovvero nel modo più efficace possibile.

Oppure potrei iniziare il mio discorso (e questo post) con il pubblico usando:

– una storia divertente
– una citazione
– un riferimento all’attualità
– un’immagine
– un filmato
– un racconto con una morale
– ringraziamenti e riconoscimenti verso platea, organizzatori, azienda
– una battuta
– un riferimento a un valore condiviso dalla platea
– una scena divertente

Public Speaking: tecnica e comunicazione

Il contenuto di questi strumenti deve avere, ovviamente, un legame con la tematica e con l’obiettivo del vostro discorso con il pubblico e ne potete usare anche più d’uno contemporaneamente: sono tutti estremamente utili ed efficaci. Ricordatevi che lo scopo è ottenere l’attenzione della platea fin dal primo momento e avere quell’impatto emotivo, visivo e uditivo sul pubblico necessario a creare immediatamente quell’empatia (funzionale al successo del vostro discorso) con chi vi sta di fronte: attenzione, impatto ed empatia che otterrete sia con le tecniche di apertura sopra elencate, sia, ovviamente, con un uso corretto e incisivo dei fondamentali livelli della comunicazione paraverbale (tono e ritmo della voce) e non verbale (gestualità, mimica, movimento del corpo, postura, prossemica).

Public Speaking: il “setting di apertura”

Non dimenticatevi, infine, il “setting di apertura”, ovvero la presentazione, da parte del public speaker, di alcuni aspetti legati a:

– tempi dell’intervento
– struttura dell’intervento
– eventuali pause
– disponibilità o meno, per i partecipanti, di materiale legato all’argomento oggetto dell’intervento

 

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